L’EUROPA E IL PATTO PER LA CRESCITA – Dare sollievo alle famiglie
La crisi dell’economia sta facendo precipitare l’Europa nella «politica dell’ansia». Il disagio sociale è sempre più acuto. Circa la metà delle famiglie (Scandinavia e Germania escluse) dichiara che non ce la farebbe a sostenere una spesa inaspettata di mille euro nei prossimi dodici mesi, più di un terzo si definisce «povero». Come stupirsi se elettori sempre più insicuri puniscono i leader in carica, si rifugiano nell’astensionismo, si lasciano sedurre dalle sirene populiste?
Anche i governi sono in preda all’ansia. Per rispondere al disagio sociale ci vuole la crescita, ma le leve per riaccendere i motori sono quasi tutte bloccate dalla gabbia dell’austerità. «Adesso arriva il cambiamento» ha promesso Hollande. Il messaggio è rassicurante e gli elettori l’hanno portato all’Eliseo. Tutti sanno però che la svolta può partire solo da Bruxelles.
A fine maggio un vertice straordinario tra i leader Ue dovrebbe dar vita a un Patto per la crescita. L’obiettivo prioritario è quello di iniettare nell’economia europea alcune centinaia di miliardi di euro per spese d’investimento. Una simile iniziativa darebbe senz’altro un segno tangibile di «cambiamento, adesso». Data la gravità della crisi sociale e politica, questo passo potrebbe tuttavia non bastare. All’ansia delle famiglie europee occorre rispondere non solo dicendo che la crescita e l’occupazione ripartiranno, ma anche che ci sarà posto per tutti, e in particolare per i giovani. Bisogna anche convincere i settori più sfiduciati dell’opinione pubblica che il modello di sviluppo perseguito dalla Ue è davvero quello «giusto» per garantire un futuro di dinamismo economico e prosperità diffusa.
Queste rassicurazioni possono essere credibili solo inserendo nel Patto espliciti obiettivi di inclusione e di investimento sociale: non solo Pil, ma anche buona occupazione; non solo grandi opere, ma anche asili, scuole, ospedali. Non solo competitività e mercati efficienti, ma anche solidarietà verso i più deboli e welfare efficace.
Il tempo stringe: ci sono ancora margini per estendere il Patto anche alla dimensione sociale? La risposta è sì. L’agenda di riforme strutturali nota come «Europa 2020» (avviata due anni fa) è già basata sulla filosofia del welfare come investimento «produttivo»: non dobbiamo inventare nulla di nuovo. Il Piano Coesione varato ieri dal nostro governo (2,3 miliardi di euro) dimostra come l’Ue possa fornire stimoli e risorse anche per rafforzare l’inclusione.
Nel dibattito fra esperti vi sono già proposte concrete su come individuare le voci dei bilanci nazionali che potrebbero legittimamente entrare in un paniere di investimenti per le grandi infrastrutture economiche e sociali dell’Europa. È da anni che a Bruxelles si organizzano convegni e si lanciano iniziative: una delle ultime si chiama «Piattaforma europea contro la povertà», ambiziosa e dispendiosa. Tutte chiacchiere?
L’Europa sociale serve quando i cittadini europei ne hanno bisogno. Altrimenti, è inutile parlarne. Ma attenzione: se la crescita inclusiva non decolla, l’anno prossimo quei mille euro di spese impreviste potranno spingere verso la povertà metà del Continente. Dall’ansia passeremo al panico: che ne sarà dell’Unione? E come difenderemo la democrazia dalla deriva populista, dall’assalto dell’«antipolitica»? Interrogativi inquietanti, che i leader europei non possono più permettersi di ignorare.
Articolo tratto dal Corriere della Sera