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Il mio Leonardo da Vinci in Irlanda del Nord

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13 ottobre 2013. Mi ritrovo all’aeroporto di Cagliari diretta verso Roma dove incontrerò le mie nuove compagne di avventura. Mi aspetta un lungo viaggio, tre aerei e un autobus, prima di poter vedere finalmente quella che sarà la mia città per i prossimi quattro mesi: Derry (ma non quella immaginaria di Stephen King), o Londonderry (come la chiamano i protestanti), o forse Doire (in gaelico, letteralmente “oak grove”, boschetto di querce) o “Maiden City”, la città vergine, per via delle sue mura ancora perfettamente intatte, o ancora Legenderry (per risolvere una volta per tutte la questione sul nome). A questo punto non nego una certa confusione iniziale chiedendomi quale tra questi nomi avrei dovuto prediligere, forse semplicemente Derry.

Quando intorno alla mezzanotte arrivo alle porte di Derry, leggo su una grossa pietra “The Walled City”. Capisco subito di essere arrivata in una città “dalle mille sfaccettature”.

Il mio Leonardo inizia qui (o meglio è iniziato qualche mese prima durante la fase di selezione, ma quella è un’altra avventura), in una piazza sconosciuta di Derry dove mi vengono consegnate le chiavi di casa, un pacchetto di benvenuto con la cartina della città e alcuni opuscoli informativi. Il taxi mi aspetta e il tragitto fino a casa segna il mio primo contatto con una lingua semi sconosciuta che sarebbe dovuta essere l’inglese, ma è tutt’altro, e un taxista che se la ride mentre ammette che in effetti “yes, we speak with a strong accent”. Quelle le uniche parole che ho captato.

Il giorno seguente scopro che nella mia casa vivono otto persone, tre ragazze francesi, uno spagnolo, una portoghese e tre italiani. Più un gatto, l’unico ad avermi accolto al mio arrivo. Nonostante il grande entusiasmo di vivere un’esperienza internazionale e la vista spettacolare dalla finestra della cucina (dove ho visto per la prima volta l’intera città illuminata), questa situazione non mi rende per niente felice. Penso di essere un po’ grande ormai per un altro Erasmus, ma “per fortuna” non ci sono altre case disponibili e devo stare lì. Dico per fortuna perchè è lì che ho conosciuto delle persone fantastiche, degli amici che porterò sempre nel cuore e che mi hanno fatto vivere un’esperienza indimenticabile. Ok, è vero che quando arrivava il mio turno di pulizie o quando la mattina trovavo la doccia occupata o l’acqua fredda, o ancora quando non c’erano pentole pulite per cucinare il sorriso spariva dal mio viso. Ma quello era il prezzo da pagare per vivere appieno un’autentica esperienza internazionale, per non sentirsi mai soli e soprattutto per avere il privilegio di scegliere se parlare inglese, spagnolo, portoghese o francese, e perché no anche un po’ di napoletano e siciliano e magari insegnare qualche parola di sardo.

Il progetto prevede quattro settimane di corso intensivo di inglese più tredici settimane di tirocinio lavorativo. Durante il corso ho modo di conoscere gli aspetti principali della cultura irlandese, la storia di Derry e alcune peculiarità linguistiche. Ho anche l’occasione di conoscere altri ragazzi italiani e stranieri che come me sono lì col programma Leonardo. Le lezioni di inglese si svolgono la mattina per cui la sera, presa dall’entusiasmo e dalla voglia di conoscere ogni angolo di questa città, me ne vado in giro (pioggia permettendo) cercando di scoprire quanto più possibile della tormentata storia dell’Irlanda del Nord.

Bogside

Il tempo dei Troubles non è poi così lontano, e la città di Derry ne è stata l’epicentro. Basti pensare che la tregua è iniziata solo nel 1997, e che prima di quella data era un continuo susseguirsi di attacchi e scontri tra cattolici e protestanti (chiunque abbia un po’ di curiosità approfondisca questa storia). Oggi, camminando per le strade della città è facile imbattersi nelle numerose scritte “IRA” sui muri e sui tetti delle case, nei famosi murales che raccontano il giorno più terribile e memorabile di quelle lotte, il famigerato Bloody Sunday, nei quartieri protestanti, subito riconoscibili perché interamente segnati da strisce blu, bianche e rosse, e nella scritta simbolo “You are now entering Free Derry” all’ingresso del Bogside, il principale quartiere cattolico della città. Tutti elementi che riportano la memoria a quegli anni di lotte sanguinose.

Ma nel 2013 Derry non è solo ricordo di scontri e disordini perché qualcosa sta cambiando, in meglio. Il 2013 è per Derry l’anno della rinascita: viene infatti eletta prima città della cultura del Regno Unito. Una grande soddisfazione e una grandissima sfida.

E ci sono anche io, che non potevo desiderare un periodo migliore per essere lì. L’anno della cultura ha portato in città una miriade di eventi e festival che l’hanno resa magica. Indimenticabile il Lumiére Festival, che ha trasformato i monumenti, gli edifici, i parchi e gli angoli più nascosti della città in un paesaggio notturno magico di opere d’arte fatte di luci e suoni. Vedere migliaia di persone per strada, grandi e piccoli, tutti stupiti e incantati allo stesso modo da questi giochi di luce, ha dimostrato che qualcosa è effettivamente cambiato e che la voglia di rinascita e serenità è forte.

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Dopo un mese è il momento di iniziare il tanto atteso tirocinio. Mi viene assegnata un’organizzazione che lavora con giovani disoccupati per spronarli ad essere cittadini attivi. La Youth Action NI è un’associazione ormai consolidata in Irlanda del Nord, attiva da settant’anni e presente in sei diverse città. Sono subito felice di poter lavorare con dei veri professionisti e a stretto contatto coi giovani di Derry. Quale modo migliore per conoscere la città in tutti i suoi aspetti. Oltretutto sono l’unica tirocinante straniera dell’associazione e questo è stato un punto di forza della mia esperienza per l’apprendimento della lingua; inizialmente non nego una certa difficoltà di interazione a causa dello stranissimo accento nordirlandese, ma pian piano sono riuscita a capire sempre meglio.

In questo periodo l’associazione sta lavorando ad un particolare progetto per i giovani tra i 16 e i 20 anni – Positive Solutions – pensato per aiutare i ragazzi NEET (Not in Education, Employment and Training) a ritrovare fiducia in se stessi e (re)inserirsi in un percorso scolastico o lavorativo. Per fare questo si organizzano ogni settimana due laboratori (nei quali si utilizzano tutte le tecniche dell’educazione non formale) durante i quali si dà ai ragazzi la possibilità di esprimere le loro idee, le loro paure, i loro problemi e i loro desideri. Sono tutti ragazzi che vivono situazioni difficili e che spesso non hanno il sostegno di una famiglia e che hanno quindi un grande bisogno di essere ascoltati e confrontarsi con altri coetanei ed esperti, ma anche solo di passare alcune ore lontano da casa divertendosi e facendo qualcosa di costruttivo.

La cosa più bella del mio lavoro è che ci si sposta continuamente: si lavora in ufficio quando c’è da pianificare e preparare il materiale per i laboratori, per il resto si lavora in sedi differenti e spesso anche in diverse città. Ho modo di partecipare a numerose iniziative e conferenze organizzate dall’associazione e non, giornate di formazione per gli youth worker, tavole rotonde con professori universitari e membri del Governo, riunioni nell’ufficio del Sindaco e anche piacevoli giornate di tiro con l’arco, golf e trattamenti rigeneranti. Il tutto rientra ovviamente nel lavoro.

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Un’altra cosa interessante del mio tirocinio è che il filo conduttore di tutti questi impegni lavorativi è il cibo, sempre presente ad ogni riunione, conferenza o laboratorio. Non è pensabile fare una riunione senza avere davanti una o due tazze di the più pane e burro, pancake, biscotti o patatine. Perfino il Sindaco, se ti riceve nel suo ufficio, ti organizza una bella merenda e vi dirò che il fatto di ritrovarsi tutti intorno allo stesso tavolo a parlare di cose serie mentre si sorseggia un the (rigorosamente con l’aggiunta di latte) e si gusta un pancake con lo sciroppo d’acero, rende l’ambiente molto più rilassato e tu quasi ti dimentichi di avere di fronte una persona “importante”. Gli irlandesi sono persone semplici e amorevoli e hanno un pregio che di questi tempi è molto raro: la calma. E aggiungerei anche che sono persone con un grande senso di civiltà e rispetto: alla guida, nei supermercati, negli uffici pubblici e in tutto ciò che fanno. Ti chiedono continuamente scusa anche se spesso non ne capisci il motivo e ti salutano per strada anche se non ti conoscono. È una bella cosa questa, una delle cose che ho apprezzato di più e che mi ha aiutato a sentirmi subito a mio agio.

Sono tornata a Cagliari quasi una settimana fa e come sempre dopo un’esperienza del genere ti passano per la testa mille pensieri, ricordi e riflessioni. Cerchi di capire soprattutto se sei cambiato, se sei cresciuto, se hai imparato qualcosa e in cosa sei cambiato e che cosa hai imparato. Le risposte non sono immediate, a parte il fatto di aver migliorato il mio inglese. Io posso solo dire che dopo un’esperienza del genere ti senti carica di adrenalina e voglia di fare. Io ero quella che “prima o poi andrò via dalla Sardegna, voglio partire, sento il bisogno di evadere e non sono sicura di voler tornare”, ora quel pensiero si è evoluto ed è maturato e ora sono quella che “la mia terra mi ha dato e mi dà tanto e mai come in questi mesi trascorsi fuori ho sentito il bisogno così forte di raccontare a qualcuno la nostra storia, la storia della Sardegna, delle nostre tradizioni e del nostro popolo. Sento di essere in debito con quest’isola, sento di dover fare qualcosa per lei, sento di volerla vivere ancora e farò tutto il possibile per non abbandonarla. Forse partirò ancora, ma sempre con l’obiettivo di imparare qualcosa e tornare arricchita per avere qualcosa di buono da condividere al mio rientro”.

Se avete voglia di vivere un’esperienza del genere (finanziata dall’Unione europea) o anche solo di avere qualche informazione in più a riguardo mandateci un messaggio su Facebook alla pagina https://www.facebook.com/YOUSARDINIA oppure mandateci un’email all’indirizzo info@yousardinia.com

Buona avventura a tutti!

Federica Stara