Berlino bocciata in liberalizzazioni – Sole 24 Ore
Chissà se il cancelliere tedesco, Angela Merkel, quando martedì scorso a Roma, a fianco del presidente del Consiglio, Mario Monti, ha annunciato che il rilancio della crescita deve passare dalle liberalizzazioni, si è sentita la coda di paglia. Di fatto la Germania, principale economia dell’Eurozona, formidabile potenza manifatturiera ed esportatrice spesso portata a modello, è uno dei Paesi più riluttanti a liberalizzare altri settori, soprattutto i servizi. Anzi, la forza del settore manifatturiero, e la capacità di generare occupazione, nonostante la crisi, grazie anche alle riforme del mercato del lavoro messe in atto nel decennio scorso, hanno probabilmente contribuito a mascherare le debolezze in altre aree.
Il possibile ruolo di locomotiva della Germania per la ripresa nell’area euro, che i suoi partner reclamano, potrebbe passare proprio di qui. Di certo, Berlino non ci sente quando viene richiesta di adottare politiche macroeconomiche espansive sollecitate da molti. E peraltro non si può dire che sia la sua politica di bilancio a fare da freno. Il deficit pubblico tedesco è sceso all’1% del prodotto interno lordo nel 2011, ma quest’anno, ricorda Carlo Cottarelli, capo del dipartimento fiscale del Fondo monetario, la previsione è che si riduca solo dello 0,3 per cento. «Non si tratta certo di una stretta pesante», sostiene.
Politicamente, lo spazio di riduzione dei risparmi pubblici o di un forte aumento dei salari è nullo, data l’avversione dei tedeschi alle avventure in materia di bilanci pubblici e inflazione, mentre sono ampi gli spazi per ottenere risultati grazie alle liberalizzazioni. Gli effetti positivi, in termini di crescita (l’economia si espanderà quest’anno solo dello 0,6%, dopo il 3% dell’anno scorso), ma anche di aggiustamento degli squilibri dei conti con l’estero in Europa, oggi fortemente sbilanciati a favore di Berlino, si farebbero sentire al di là dei confini della Germania, secondo i risultati di un recente studio dell’Ocse. «La Germania – dice Pier Carlo Padoan, capo economista e vicesegretario generale dell’organizzazione dei Paesi industriali – è un Paese forte che potrebbe fare molto di più. Soffre da anni di investimenti insufficienti, soprattutto nel settore dei servizi. Un aumento di questi contribuirebbe al riequilibrio delle partite correnti in Europa». Un tema su cui la Germania è solita buttare la croce addosso ai Paesi in disavanzo, senza considerare quel che potrebbe ottenere avviando un piano di riforme in casa propria. «Molti dei problemi di cui soffre l’Italia – afferma Padoan – in termini di concorrenza insufficiente, eccessiva burocrazia, rimozione di barriere all’entrata, e che il Governo Monti ha cominciato ad affrontare, ce li ha anche la Germania, ma lì si è mosso ben poco». Insomma, la Germania, così brava a sollecitare i “compiti a casa” agli altri Paesi europei, ne avrebbe anch’essa un carico importante.
I servizi alle imprese, comprese le libere professioni, che rappresentano il 10% del Pil, i lavori artigiani (Handwerk) e la distribuzione sono le aree dove la Germania viene vista particolarmente in ritardo. Nei servizi alle imprese, la produttività per lavoratore dei tedeschi è cresciuta nel periodo 2000-2008 dello 0,9% l’anno, poco più della metà della media Ocse. La bassa crescita della produttività pro capite nel settore dei servizi, secondo Patrick Artus, capo economista della banca d’investimento Natixis, si spiega anche con il calo delle ore lavorate in Germania, più forte che negli altri maggiori Paesi. Ma l’elemento prevalente sembra essere la morsa delle regole.
«Nelle professioni – dice Rodolfo Dolce, fondatore dello studio legale Dolce e Lauda, attivo in Germania da molti anni – c’è una tendenza alle liberalizzazioni un po’ in tutta Europa. In Germania, dove le professioni sono autoregolamentate, alcuni elementi, come le tariffe minime per gli avvocati, non sono neppure messi in dubbio». Dolce osserva che ci sono anche ragioni storiche, non tutte ingiustificate, per alcune regole. Gli artigiani, in mestieri eterogenei come elettricisti, barbieri e sarti, devono essere iscritti alle Camere dell’artigianato, e aver frequentato scuole che assicurano una preparazione professionale. «Sono standard qualitativi di cui i tedeschi sono molto orgogliosi», sostiene Lauda. L’Europa sta facendo pressione perché alcune di queste barriere siano rimosse, riconoscendo l’attività svolta altrove.
I limiti alla concorrenza però si pagano. L’Ocse stima che la riduzione dei margini del 15% nel settore dei servizi aumenterebbe la crescita del 4,4% attraverso investimenti più alti. L’allineamento alle migliori pratiche della regolamentazione del mercato dei prodotti aumenterebbe la produttività di un 1% l’anno su un periodo di 10 anni. I margini di miglioramento, secondo l’Ocse, non sono troppo diversi da quelli rilevati per l’Italia o la Spagna, due Paesi ai quali Berlino ama rivolgere le sue prediche.
«Le liberalizzazioni dei servizi – conclude Padoan – sono politiche strutturali espansive attraverso le quali la Germania potrebbe fare comunque il proprio interesse, aumentando la produttività e, attraverso questa, la crescita, però non a danno, ma beneficiando anche gli altri».
Articolo tratto dal sito web del Sole 24 ore
Alessandro Merli